I Baiuli degli Angioini

La presenza di funzionari aventi il titolo di Baiuli [= pronuncia bàiuli], ossia Baili o Balii, nel sud della penisola italiana, all’epoca degli Angioini, è segnalata in un articolo, del 10 marzo 2017, di Giosa Menna, al link: https://giosamenna.wordpress.com/2017/03/10/cane-cors0-canos-fortes-ad-succursum/ .

Al Menna nell’articolo interessa dare notizie sul cane corso, non sui Baiuli, ma nella sua ricerca su imbatte anche su questi. Dice, infatti: «[In un precedente post] ho definito il corso vero cane sannita, pensando all’aspetto geografico dell’area d’origine e, anche, all’indole simile e affine a quel popolo italico, rude, infaticabile e combattente, che a Porta Collina fa tremare Roma e Silla. Con grande sorpresa, durante una mia ricerca storica tra i registri angioini, in uno studio del Minieri Riccio ho trovato la regestazione di un documento in cui Carlo I d’Angiò ordinava ad un’intera regione e a tutta l’amministrazione statuale di collaborare ed essere d’aiuto ad un suo nunzio nella ricerca di dodici cani corsi».

Questa una nostra trascrizione del documento: «LXXXVIII. Anno 1271. 5 Giugno 14a indizione – Trani. Il re Carlo manda il milite Giovanni de Nantolio in Contado di Molise e nella Valle di Fortore per ricercare 12 cani forti da presa ed esperti alla caccia (Ici Reg. Aug.1271. B. n. 10. Fol. 114.): «Scriptum est Castellanis Baiulis Iudicibus Magistris Iuratis, nec non et Universis baronibus seu nobilibus per Comitatum Molisii et Vallis Fortoris constitutis etc. fidelitati  vestre precipiendo mandamus quatenus Johanni de Nantolio militi latore presentium ad requisitionem ipsius usque ad duodecim canes fortes ad succursum et ad venandum expertos pro parte nostra comandare curetis. In hoc autem etc. Datum Trani V° Junii etc. (XIIII° Indictionis)». 

 

Continua il Menna: «L’area geografica è quella dell’attuale Molise e sopratutto la valle del Fortore, l’area di confine con la Capitanata, il nord della Puglia […]. Carlo d’Angiò è il re di Napoli e di Sicilia, signore di Corfù e dell’Acaia in oriente, dell’Angiò , del Maine e della Provenza in Francia. È il capo dei guelfi; con il titolo di vicario imperiale, è signore dei Comuni della Lega Toscana; con quello di senatore, signore della Città Eterna e “signore sulle città di Lombardia che si nominano partito della Chiesa”. In poche parole di quasi tutta la Penisola.

« Giovanni da Nantolio è un milite e familiare del re, un nobile (uno di quei signori disegnati a lato della coppia regale nella Bibbia Angioina [cfr. sopra] ), che ha l’ordine di requisire [provvedere, secondo noi, trovando che il ad requisitionem ipsius significhi “su richiesta dello stesso” e non “per requisire”; in altre parole, il da Nantolio s’era voluto far fare questa lettera di raccomandazione e appoggio. N.d.R.] per il re cani atti alla caccia ma sopratutto all’aiuto, al servizio, che danno alle massariae, le grandi aziende agricole di proprietà regia, con l’aiuto dei castellani (chi presiede ai castelli), dei Baiuli (ambito fiscale e giudiziario) dei giudici e dei Baroni (signori dei feudi). I magistri massararium , accuratamente scelti e vigilati, dirigono queste fattorie modello, dove la coltura del frumento e l’allevamento del bestiame sono condotti intensivamente, allo scopo alimentare, oltre al fabbisogno della casa reale, anche alla vendita ed all’esportazione. Carlo dai possedimenti in Africa importa pecore e arieti per migliorare con l’incrocio i propri greggi e si riserva l’allevamento bovino, quasi esclusivamente in queste fattorie. Facendo il punto, è notevole la presenza di questa razza e il suo valore altrettanto la sua ricerca, già nel secolo XIII, come affare di Stato, da parte dell’élite dominante. Il fine è sicuramente l’allevamento e il selezionamento dei migliori attraverso questi dodici cani corsi nell’area d’origine, ben precisa e puntuale, della contea del Molise e nell’area di confine con la Capitanata. Questo documento è, perciò, di notevole valenza, sia per la datazione alta, sia per la locazione e l’importanza che viene data a questa razza, già ben definita, per le sue qualità intrinseche, che ancora oggidì ne fanno un valore aggiunto non indifferente».

L’autore termina ricordando, opportunamente, che i cani di cui si occupa sono raffigurati in scultura anche nella porta del Castel Nuovo di Napoli, sull’arco di trionfo di re Alfonso I, un altro fondatore della dinastia aragonese.

La nostra attenzione, invece, torna, come ovvio, sui Baiuli, per cercare di capire, sia pure da un documento così breve, qualche cosa in più sul loro ruolo sociale nel regno degli Angioini.

Anzitutto ne deduciamo, comunque, che esistevano; ed è già un’informazione preziosa.

Per secondo notiamo la loro importanza. La lettera reale, infatti, è indirizzata «Castellanis Baiulis Iudicibus Magistris Iuratis, nec non et Universis baronibus seu nobilibus per Comitatum», «Ai Castellani, ai Baiuli, ai Giudici, ai Magistrati, ai Giurati, nonché a tutti i baroni o nobili del Contado».

Tutte queste titolarità, a ben riflettere, sono in relazione ad una giurisdizione e ad un territorio, non cariche onorifiche e sine cura e sono in ordine decrescente di importanza. Si potrebbe pensare ad un carattere onorifico solo per l’ultimo grado, quello dei nobili, ma non si è autorizzati a farlo da quel seu che rende il termine nobiles quasi una specificazione di barones e sappiamo che il barone al Sud Italia era un Signore infeudato, non un semplice titolo. Ci sembra perciò corretto intendere l’espressione baronibus seu nobilibus nel senso di: «Signori feudatari», la cui giurisdizione si estendeva ma anche limitava strettamente al territorio concesso in feudo.

Tutte le altre cariche, invece, hanno una giurisdizione superiore, che non si limita ad uno specifico territorio assegnato in feudo. A cominciare dai Giurati, figura che anche da noi era presente e in qualche modo ancora lo è, nominalmente, come Durà (Giurato in dialetto) della frazione comunale, una figura mai ben definita, erede nominale del Durà o Giurato del tempo della Serenissima, quando indicava uno dei due Capi della Regola e, per la precisione, quello che la rappresentava nelle rare convocazioni del Consiglio del Capitaniato. Potrebbe essere che anche al tempo dei d’Angiò la qualifica avesse un significato analogo, del tipo capo villaggio o qualcosa del genere. Non molto meglio possiamo intendere la qualifica di Magistri, da noi tradotta magistrati, ma con un punto di domanda; in ogni caso erano persone incaricate di un qualche servizio a favore del regno e delle comunità locali, ma quale di preciso non sapremmo dire, quando non già allora il termine non avesse avuto un senso generico di funzionario. Più chiara e rilevante la posizione e attività dei Giudici, che è esattamente quella che ancora s’intende.

Da altri documenti, sui quali ci soffermeremo in altri articoli, risulta che i Baiuli avevano un ruolo di giudice subalterno, per le cause giudiziarie minori. Ad esempio, dal link: http://www.procurafoggia.it/articoli.php?nome=Storia-della-Procura-della-Repubblica&id_articolo=320  apprendiamo che «la storia della Procura della Repubblica di Foggia affonda le sue radici nelle antiche magistrature di epoca sveva; fu l’imperatore Federico II di Svevia, infatti, ad istituire a Foggia la corte del Giustiziere, che trattava i procedimenti penali con competenza su tutto il territorio oggi occupato dalla provincia di Foggia. In quei tempi, il Giustiziere aveva anche funzioni requirenti e si occupava di istruire tutti i crimini più gravi commessi nella Capitanata; per i reati minori erano invece competenti i Baiuli, assimilabili in qualche modo alla più moderna figura del Pretore» (si può leggere l’intero articolo aprendo il nostro link: DE LEO, 2004, Storia della Procura della Repubblica di Foggia ).

Ma dal documento del 1271 risulta, al contrario, che la posizione dei Baiuli è distinta e superiore. Giustamente perciò il Menna, pur senza escludere la funzione giudiziaria, ipotizza e scrive di un loro inserimento nell’ambito amministrativo dello Stato e, nel caso specifico, del contado del Molise (la mancanza di articolo nel testo latino è ovvia, ma nella traduzione dobbiamo per forza di cose metterlo). In effetti, non poteva essere che questo il loro ambito d’attività pubblica; non solo, ma quell’essere menzionati dopo i Castellani offre l’opportunità di comprendere quale fosse la ratio dei distretti territoriale di loro competenza: i Baiuli risultano essere i responsabili amministrativi, ma non solo, anche militari e giudiziari, di un ambito territoriale non facente capo ad un castello; ed è proprio questa, e sembrerebbe solo questa mancanza di un castrum di riferimento che fa la differenza tra Castellano e Baiulo. Usando una terminologia successiva o d’altra area, si potrebbe dire che nel Castellano prevale la figura e il ruolo del Capitanio, mentre nel Baiulo è in primo piano quella del Podestà. Senza con ciò – lo diciamo solo per togliere possibili dubbi – che l’attività politica mancasse nell’agire del Castellano o quella militare non rientrasse, per quel tanto di sua competenza, nella sfera operativa del Baiulo; la differenza è proprio, alla lettera, di grado, cioè di gradualità, non per una specificazione escludente, come si è tentati di fare nella formazione odierna degli organigrammi. Il che fa comprendere pure che, con il mutare delle situazioni contingenti e, soprattutto, a più lungo termine, la figura e il ruolo dei Baiuli abbia potuto muoversi con evoluzioni diversificate ed esiti diversificati, per fissarsi su uno o l’altro aspetto delle loro mansioni, inizialmente non disgiunte ma solo graduate in rapporto alle altre figure pubbliche, subendo e imprimendo diverse evoluzioni anche dalle e alle stesse.

Don Floriano Pellegrini

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