Il massacro di monaci di Casamari nel 1799

Dal rispettabile sito dei «Neo Borbonici», al link: http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=blogcategory&id=106&Itemid=224 , abbiamo tratto una pagina storica impressionante, naturalmente tenuta ben nascosta dalla ipocritissima storiografia del malnato regno d’Italia. Le immagini sono tratte da Wikipedia: 1) Il coro dell’antica abbazia; 2) L’abbazia negli anni Trenta; 3) La facciata della chiesa. 

Coi, 15 giugno 2017 / Don Floriano Pellegrini

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Si tratta di un gruppo di monaci Cistercensi (quattro di origine francese, un italiano, un cecoslovacco) che, in buona parte, fuggiti dagli orrori della Rivoluzione Francese e confluiti singolarmente nell’abbazia di Casamari, trovarono qui, tutti insieme, il martirio, per mano degli stessi soldati dell’esercito rivoluzionario francese, in ritirata da Napoli.

IL CONTESTO STORICO

Il 23 gennaio 1799, le truppe francesi del generale Championnet, occuparono Napoli, mentre il re Ferdinando IV, si rifugiava a Palermo; i giacobini, fautori della repubblica, avevano occupato il 22 Castel Sant’Elmo, che sovrasta la città, proclamando la Repubblica Partenopea, chiedendo il giorno dopo al generale francese di riconoscerla e di nominare un governo provvisorio.

Il 7 febbraio il cardinale Fabrizio Ruffo (1744-1827), con l’assenso del re, sbarcò nella sua Calabria con pochi uomini, per tentare un’opposizione armata e popolare, contro i Francesi e i cosiddetti giacobini.

L’esercito sanfedista del cardinale conquistò man mano la Calabria, la Puglia, la Basilicata, riconquistando con le sue forze  tutte le cittadine – come Altamura e Crotone – cadute sotto il nefasto regime giacobino.

Dal mare, il generale inglese Orazio Nelson, con la sua flotta e le truppe turche e russe, inviate dai loro sovrani in soccorso del re Ferdinando IV, sostenevano la marcia del cardinale Fabrizio Ruffo verso Napoli, la capitale del Regno.

Intanto, nell’aprile 1799, le truppe francesi subivano delle sconfitte in Lombardia, nella guerra contro l’Austria. Ciò determinò l’abbandono di Napoli prima, e del Regno delle Due Sicilie poi, delle truppe francesi del generale Championnet, che presero a risalire la penisola, lasciando soli i patrioti della Repubblica Partenopea, i quali, oltre le preponderanti forze nemiche, dovettero affrontare anche l’insurrezione interna dei cosiddetti lazzaroni. La Repubblica cadde definitivamente il 19-23 giugno.

LA RITIRATA DELLE TRUPPE FRANCESI

Le truppe francesi, costrette dall’avanzare del riorganizzato esercito borbonico e dalla presenza della flotta inglese, ancorata nelle isole d’Ischia e di Procida, presero la via del ritorno, risalendo la penisola, per la strada litoranea, attraverso Gaeta e Terracina.

Lo Stato Pontificio era anch’esso invaso dai Francesi e lo stesso papa Pio VI (1717-1799) si trovava prigioniero di Napoleone Bonaparte, in Francia, dove morirà il 29 agosto 1799. Un distaccamento di circa 15 mila soldati, al comando dei generali Vetrin e Olivier, prese però la strada interna, giungendo il 10 maggio a Cassino, spopolata dagli abitanti, rifugiatosi sui monti.

Anche la millenaria abbazia benedettina di Montecassino fu devastata, saccheggiata e profanata dai circa 1500 uomini della colonna del generale Olivier, saliti fin lassù; fortunatamente i monaci si erano messi in salvo, a Terelle, portando con sé le cose più preziose e artistiche.

La ritirata continuò nella provincia di Terra di Lavoro e cittadine come Aquino, Roccasecca, Arce, l’11 maggio 1799 furono saccheggiate e migliaia di abitanti furono uccisi. Poi i Francesi, anziché deviare per Ceprano, si diressero a Isola del Liri, dove il 12 maggio perpetrarono ogni sorta di violenza, saccheggio, profanazione di chiese e distruzioni e questa volta con un efferato eccidio di oltre 500 abitanti, che avevano cercato di opporre una debole resistenza; gli oltre cinquecento nomi, sono annotati nel registro dei defunti della Chiesa di San Lorenzo, tutti uccisi il 12 maggio 1799, giorno di Pentecoste.

Poi, mentre la truppa riprendeva la strada per il Nord, un drappello di venti soldati sbandati, della formazione “leopardi”, il 13 maggio penetrò all’interno dell’abbazia di Calamari, alla ricerca di altro bottino, secondo le consuetudini di quei tempi, quando, scarseggiando la paga governativa, lo stesso generale Bonaparte, autorizzò il saccheggio per sostenersi da parte dei suoi soldati.

IL MARTIRIO DEI SEI MONACI CISTERCENSI

L’abbazia di Casamari, posta in una frazione del comune di Veroli, appartiene all’Ordine Cistercense, fondato da San Roberto di Molesmes nel 1098, a Citeaux (Francia), il cui nome latino era Cistercium; l’Ordine ebbe il più grande sviluppo e la regolamentazione nel 1109, con il terzo abate generale, Santo Stefano Harding (1060-1134).

L’abbazia di Casamari sorse sul luogo di un’antica fondazione benedettina, passata poi nel 1150 ai Cistercensi; la chiesa, del 1217, e il grandioso complesso delle costruzioni conventuali sono opera di un’unica mente direttiva, che guidò l’impiego delle abili maestranze. Il complesso edilizio, concepito secondo un chiaro e unitario piano cistercense, ricorda l’architettura borgognona per le proporzioni, la purezza delle forme e i prevalenti caratteri del primo gotico francese.

In questo gioiello dell’arte cistercense e cenobio insigne di spiritualità, viveva la comunità dei monaci cistercensi, sotto la guida del priore, padre Simeone Cardon. Il 13 maggio 1799 il clima era di paura, per le notizie degli eccidi e delle devastazioni perpetrati dalla soldataglia francese, quando, alle otto di sera, mentre la comunità si accingeva al canto della compieta (che precede il grande silenzio della notte del monastero), il gruppo d’una ventina di soldati francesi sbandati irruppe all’interno dell’abbazia, arrecando agli indifesi monaci spavento, disperazione, sangue e morte.

Mentre la maggior parte di essi scappava, spaventata e inerme, cercando un possibile rifugio, sei monaci coraggiosamente ed eroicamente restarono a difesa dell’Eucaristia, cercando di nascondere le sacre pissidi o riparando alla profanazione, raccogliendo le particole consacrate disperse sull’altare e per terra.

La soldataglia, atea, sfogò su di essi la rabbia di non trovare denaro ed oggetti preziosi, tranne i calici sacri, difesi dai monaci, e a colpi di sciabola, baionetta, archibugio, uccise i sei cistercensi, prima di lasciare l’abbazia.

I corpi dei sei martiri furono poi sepolti dai confratelli, ritornati dopo il gran pericolo.

Attualmente le loro reliquie riposano nella chiesa abbaziale; una serie di bei dipinti, opera di Mario Barberis, custoditi nel museo dell’abbazia, illustra alcune fasi del martirio; di seguito si elencano i loro nomi, con brevi cenni biografici per ognuno: Priore, padre Simeone Cardon; padre Domenico Zawrel, fra Maturino Pitri, fra Albertino Maisonade, fra Modesto Burgen, fra Zosimo Brambat.

Padre Simeone Cardon

Priore e cellerario, nacque a Cambrai e fu monaco benedettino a Parigi. Durante la Rivoluzione, fuggì dalla Francia e raggiunse rocambolescamente Casamari il 5 maggio 1795, dove vestì l’abito cistercense e, poi, emise la professione di stabilità. Per bontà ed esemplarità di vita, fu nominato prima economo e successivamente priore dell’abbazia.

All’approssimarsi dell’esercito francese in ritirata, dapprima decise di fuggire con i monaci, poi li esortò a rimanere. Il 13 maggio accolse il drappello degli sbandati e distribuì loro cibo e bevande; davanti alla loro furia distruttiva, dapprima si nascose nell’orto, ma rientrato in sé, ritornò nella sua cella, dove fu assalito dai soldati, che reclamavano i tesori del monastero. Con la sciabola fu ferito alla testa ed alle mani, mentre cercava di parare i colpi. Morì verso le sette del mattino seguente. Aveva cinque ferite, due colpi di baionetta nel corpo, un colpo di sciabola nella testa, uno sul braccio destro e uno sulla coscia sinistra.

 Padre Domenico Zawrel

Maestro dei novizi, nato a Codovio in diocesi di Praga, fu dapprima religioso domenicano della Congregazione di Santa Sabina di Praga. Venne a Casamari nel maggio 1776, il mese seguente ricevette l’abito di novizio e, l’anno dopo, professò i voti solenni.

Nella tragica notte del 13 maggio, raccolse per due volte le sacre specie sparse, prima nella chiesa, poi nella cappella dell’infermeria, dove rimase in adorazione con due altri confratelli, fra Albertino e fra Desideo. Furono sorpresi da tre soldati, che gettarono per terra le particole, uccisero con due colpi di sciabola fra Albertino, ferirono gravemente fra Desidero, «e infine lasciarono morto ai loro piedi anche il padre Domenico, dopo avergli tirati più colpi di spada sul capo ed in altre parti del corpo; subito spirò nella medesima cappella dicendo: Jesus Maria».

Fra Maturino Pitri

Oblato di Fontaineblau, figlio di uno dei giardinieri del re di Francia, fu arruolato e, poi, destinato alla campagna in Italia. Nel gennaio del 1799 fu colpito da una terribile asma di petto e da febbre e fu ricoverato, con altri undici commilitoni, nell’ospedale «La Passione» di Veroli. Dichiarato prossimo a morte, si confessò al padre Simeone Cardon, che era capitato nell’ospedale, e gli dichiarò di voler vestire, se fosse guarito, l’abito cistercense.

Tre giorni dopo, perfettamente guarito, fu nascosto per una notte nell’ appartamento del curato dell’ospedale, don Giuseppe Viti, e di buon mattino, fu poi accompagnato a Casamari. Il 13 maggio, raggiunto da un colpo di fucile nel corridoio del noviziato, si trascinò e morì nella sua cella.

 Fra Albertino Maisonade

Corista, francese di Bordeaux, dopo lo scoppio della Rivoluzione fuggì e si portò a Casamari, dove fu ricevuto ed ammesso fra i monaci del coro. Nel novembre del 1792, vestì l’abito di novizio e, nell’anno successivo, emise la professione semplice secondo un privilegio, allora specialissimo, concesso alla Comunità di Casamari. Esemplare negli atti di vita comunitaria, manifestò sempre una devozione profonda per l’adorazione del Sacramento dell’altare.

Il 13 maggio, all’arrivo dei Francesi, invece di fuggire si ritirò in adorazione davanti al Santissimo Sacramento, che era stato profanato nuovamente nella cappella dell’infermeria. Raggiunto dai soldati francesi, fu colpito e finito a colpi di sciabola sul posto, con padre Domenico Zawrel.

Fra Modesto Burgen

Converso, francese di Borgogna, fu dapprima religioso nell’abbazia cistercense di Settefonti. Durante la Rivoluzione fuggì e si portò a Casamari, dove fu accolto fraternamente. Nel gennaio 1796 fu ammesso al noviziato e, nell’anno seguente, emise i voti semplici. Fu religioso di vita esemplare.

In quell’infausto 13 maggio fu inseguito nel corridoio del noviziato, fu raggiunto da un colpo di archibugio e poi finito a colpi di sciabola.

Fra Zosimo Brambat

Converso, milanese di nascita, chiese alla fine del 1792, di essere ricevuto in Casamari. Trascorse due anni, secondo la consuetudine, con l’abito di oblato, poi, nel novembre 1794, fu ammesso al noviziato e, nell’anno successivo, emise la professione semplice nelle mani dell’abate Pirelli.

In quel terribile 13 maggio 1799 fu dapprima raggiunto da un colpo di archibugio e, poi, da colpi di sciabola mentre, nel disbrigo di un’obbedienza, «passava per la saletta per andare in refettorio e avanti la scala della farmacia». Riuscì tuttavia a nascondersi, ma tre giorni dopo, il 16 maggio, morì poco fuori delle mura del monastero, dopo essersi incamminato alla volta di Boville, per ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi.

I frati massacrati dalle orde francesi sono stati proclamati servi di Dio dalla Chiesa cattolica.

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