DRAGO e GAMBIN, Gli gnocchi, piatto giocoso del carnevale (il nome deriva dal longobardo)

Articolo, del 13 febbraio 2018, di Maurizio Drago e Mauro Gambin

Da: https://conipiediperterra.it/cucina/panorama-gastronomico/gnocchi-piatto-giocoso-del-carnevale-6219 – Il sottotitolo dice: «In realtà è l’aspetto salvifico degli gnocchi a renderli uno dei piatti più popolari in tutta Europa. Il basso costo e il valore nutrizionale sono stati veri salvagente alimentari, nel corso dei secoli della storia»

Bimbi inappetenti e vecchi dalla masticatura incerta, adolescenti svogliati e adulti incupiti: davvero difficile restare indifferenti davanti a un piatto di gnocchi fumanti, comfort food per eccellenza. Impossibile servirli in porzioni risicate, mangiarli con sufficienza, lasciarli a metà. Perché gli gnocchi nutrono e appagano, sono economici e digeribili, si cuociono in un attimo e acquistano cento sapori diversi. Ed è tutto questo a renderli vincenti sulle tavole di tutta Europa, fin dalla notte dei tempi.

Gli gnocchi, li conoscevano già i Romani, globulos venivano definiti; il nome gnocco, invece deriva dal longobardo knohha, cioè nodo, nocca, ma ovviamente erano molto diversi da quelli che conosciamo noi, non erano di patate.

Ancora nel primo Cinquecento, Teofilo Folengo poteva definirli come «quel qualcosa che rotolava giù da una montagna di formaggio grattugiato, facendosi grosso come una panciuta botte»; ma nel tempo questa nobile forma ebbe a corrompersi, specialmente alle nostre latitudini, dove proprio in quegli anni al frumento veniva preferito il mais e la farina iniziò a scarseggiare.

Fu l’umile patata a prendere il suo posto. Umile, certo, perché fino al XVIII secolo la patata veniva usata come pianta ornamentale o al più come cibo per gli animali. Divenne buonissima, però, proprio nel corso di questo secolo che portò lunghissime guerre, come quella «dei Sette Anni», che coinvolse tutto il continente. Ne divenne l’alimento simbolo grazie anche a ricercatori come Antoine-Augustin Parmantier, che conobbe questa coltivazione mentre era prigioniero dei Prussiani e fece grandi sforzi per diffonderne la coltivazione e l’utilizzo alimentare e culinario. In un periodo di tempo relativamente breve, la patata, divenne così l’alimento fondamentale nell’alimentazione delle classi umili in gran parte dell’Europa centrale e settentrionale, soppiantando in parte i cereali. Fu una fortuna per le patate, meno per gli gnocchi che diventarono un piatto «del popolo».

Così, come gli antichi sovrani mantenevano forma e colore argenteo delle monete, riempiendole però di rame, sotto una sottile patina di metallo nobile, allo stesso modo la patata si era scoperta un più economico sostituto della farina. Esternamente il prodotto si presentava allo stesso modo, affidato alla soffice leggerezza delle dita incaricate di scivolarle sulla grattugia. Dentro però il suo valore era più basso. Mutato nella sostanza, lo gnocco era quindi diventato per il popolo una sorta di immagine. E lo è ancora. Quanti sono i detti, appunto popolari, che si legano allo gnocco? Celebri ad esempio sono quelli del giovedì, perché un tempo, quando le prescrizioni della Chiesa avevano una certa presa sul popolo, i digiuni del venerdì potevano avere qualche conseguenza se il giorno prima non si fosse fatto il pieno di calorie.

Un piatto salvifico, del resto, gli gnocchi, un piatto di esuberanza, che rimpinza e sfama, ed è per questo che la sua storia si lega anche a quella del carnevale di Verona. La tradizione popolare vuole attribuito a Tommaso Da Vico la fondazione del «Baccanale del Gnocco», avendo egli distribuito a sue spese tra la popolazione viveri di prima necessità, come pane, vino, formaggio e soprattutto gnocchi, in seguito alla fame causata dalla rotta dell’Adige e alla discesa dei Lanzichenecchi nel primo decennio del ‘500. Davanti al sagrato della Basilica di San Zeno sarebbe ancora visibile la «pietra del gnocco», su cui venivano cotti. Per il resto della provincia lo gnocco è semplicemente il Re del Carnevale, o Papà Gnocco: barbuto, una specie di Babbo Natale vestito di broccato nocciola e mantello, con una tuba rossa a cui sono attaccati dei sonagli. Come scettro ha una grande forchetta dorata, su cui è infilzato uno gnocco. Perché lo gnocco è anche divertimento.

Fare gli gnocchi è semplice, molto di più che fare le altre paste fatte in casa, e la gestualità è giocosa: la manipolazione dell’impasto deve aver anticipato per i bambini del passato l’equivalente del Pongo e del Didò e poi c’è il gesto, quello fatto con la forchetta o la grattugia, per imprimere sul dorso dello gnocco quella rugosità che gli consente di prendere bene il sugo.

Tra uno gnocco spiaccicato per troppa foga e un altro inspiegabilmente uscito senza solchi, gli gnocchi sono passati di mano in mano tra le generazioni come piatto passe-partout, a seconda delle declinazioni: con poco olio/burro o salsa di pomodoro per un primo piatto facile e leggero; con legumi, carni o formaggi per addizionare proteine; impastato con farina di castagne e accompagnato da cioccolato fuso per il più infantile, inusuale e goloso dei dessert.

Chi ha conservato memoria del palato, fatica a farsi piacere la maggior parte dei prodotti industriali. Rispetto alla ricetta-madre degli gnocchi più popolari (con le patate), infatti, la quota di farina, che costa molto meno (oggi il valore si è capovolto rispetto al ‘600), cresce a dismisura insieme alla standardizzazione di forma e gusto. Risultato: piccoli sassi indigeribili e impermeabili al condimento, che resta immancabilmente in fondo al piatto. Va un poco meglio nelle versioni pret-à-manger di pastifici artigiani – quei pochi che resistono – e gastronomie, soprattutto quando vengono scelte le patate giuste: vecchie, farinose, sane.

In questa ricerca degli «gnocchi di una volta», naturalmente, anche il prezzo ha smesso di essere quello di un alimento povero, per assumere lo status di gourmandise. Ma forse è giusto così, è arrivato il tempo della sua reintegrazione nel grande menù della storia; ma resta ancora un nodo da scioglie: se, cioè, la versione dolce degli gnocchi, con zucchero, cannella e uvetta sultanina, sia un lascito ai Veneti della dominazione austriaca o non piuttosto un sicuro piatto della veneticità, visto che le spezie un tempo erano un affare che riguardava esclusivamente la piazza di San Marco. Ne parleremo, magari, una prossima volta, perché proprio in questi giorni a Montagnana si sta lavorando per farli diventare un prodotto De.Co., cioè protetto da una denominazione concessa dall’Amministrazione Comunale, per tutelarne e valorizzarne la natura assolutamente nostrana.

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