Due storie di Zoppè di Cadore

Nella foto: Zoppè di Cadore, un coro sull’orchestra parrocchiale

Ecco due storie raccontatemi da Flavio Pampanin, di Zoppè, uomo di una certa età.

La prima, piuttosto macabra, è significativa del valore che si dava alle proprietà terriere. Dice: Una notte, molti anni fa, un cacciatore di Zoppè stava attraversando il bosco sopra il paese, verso Vodo, quando all’improvviso uno strano fenomeno attirò la sua attenzione: lì, dove il bosco lasciava il posto ai prati, una specie di palla bianca saltellava nell’aria. Che è, che non è? Un leprotto dal pelo chiaro? Magari! Si avvicinò, per veder meglio. Ma, no, orrore, era nientemeno che un teschio, che, saltellando, andava a battere sui paletti di confine tra un prato e l’altro. Dalla bocca scarna di quella mostruosità uscì una voce: «Sono il tal dei tali; quand’ero in vita spesso andavo a spostare i tèrmen ; in altre parole rubavo parte del terreno dei miei vicini. Ora sono un dannato e, per castigo, dovrò andare molti anni a battere sui tèrmen dei prati di Zoppè».

La seconda storia, più divertente, il Pampanin l’aveva sentita da Masi Simonetti, che dev’essere stato un gran burlone, oltre che un gran pittore. Dice: Un tempo viveva a Zoppè un sacerdote di nome Lugano. Un giorno sulle cime del Mezzodì, laggiù, in Zoldo, comparvero dei brutti nuvoloni, che si avvicinavano sempre più a Zoppè. E, con essi, cominciò la pioggia, che in breve divenne un acquazzone e, ahimè, continuò così giorni e giorni. Ormai laggiù, in Zoldo, s’era formato un lago e il fondovalle era sommerso dall’acqua; e l’acqua s’alzava sempre più, finché cominciò a lambire e poi sommerse le case più basse di Zoppè. Tutti erano in allarme e don Lugan, ch’aveva paura di far una brutta fine, si recò in barca alla cella del campanile; e lì fu visto per l’ultima volta. Quando cessò di piovere e l’acqua del lago che saliva da Zoldo s’era prosciugata, gli uomini cominciarono a cercare il loro parroco; ma fu invano. Allora un uomo disse: «Eh ben, tosat, se hon perdù don Lugan negà, aón catà la lugànega». Un simpatico gioco di parole: «Eh, ragazzi, se abbiamo perso don Lugano, annegato, abbiamo però trovato le salsicce». C’è un evidente richiamarsi a un proverbio antico, caduto in disuso, che ancora anni fa ero riuscito a fissare per iscritto: «Avè ‘n préve inte casa, l’è come avè ‘n poržél tacà su sot»: «Avere un sacerdote tra i membri della famiglia è un vantaggio, come avere la carne di maiale (tra cui le salsicce) appesa al soffitto, ad essiccare». In più di un caso, era così.

[Pubblicato il 26 maggio 2011, come n. 62 dei «Comunicati del Libero Maso de I Coi»

Don Floriano Pellegrini

Nella foto: Angolo tipico di Zoppè, con vista sul Pelmo

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