TRESOLDI, Impressioni di un reparto di psichiatria

L’impressione iniziale è che si tratti di un’oltretomba, di un girone infernale piuttosto che di un ospedale psichiatrico.

Dentro un corridoio, lungo e stretto come il caveau d’una banca, i pazienti, fantasmi amorfi e inebetiti dalle cure, camminano trascinando i piedi, come li avessero legati o sguazzassero nella melma di acquitrini, pesanti loro e pesanti i loro corpi. Vagando tra le stanze, con le pareti imbiancate di recente, o riposano seduti sul letto, tenendo chiusi dentro di sé, come in una tomba, i propri sentimenti. Inermi, quanti li osservano possono solo assistere ai loro drammi personali e cercare di immaginare i segreti della loro vita attraverso alcuni particolari, che pur emergono. Una lacrima, un viso tumefatto, un occhio nero dicono pensieri di morte, che corrodono l’animo nei suoi interstizi, e la gente può solo intuire, per un attimo, scoprendoli su visi che rispecchiano i gorghi mentali.

Al mattino presto, ad un orario imprecisato, si vede un tizio in camice bianco, scivolare nell’ombra della tromba delle scale; è l’unica visita di un dottore durante la giornata. Nel resto del tempo, i malati giocano a scacchi o a carte, solo per far passare il tempo tra una pillola e l’altra, grosse come confetti.

Qualche ricoverato è così attivo da non riconoscersi in alcun cliché di matto: «Matto io? Staremo a vedere, chi è matto!» e giù uno sbadiglio, per la noia d’una vita quasi di clausura, nella sua stanza occupata da libri e santini da messa. Chi è matto sul serio, non se ne accorge, perché i suoi parametri di giudizio si sono allargati come maglie mentali diventate così flessibili da far parere normale qualsiasi comportamento.

«Napoleone ha perso solo l’ultima battaglia» e a piedi, senza cavallo, «lui non ci andava» e senza un esercito, per giunta, non poteva starci! Ricorda, meglio di Dio in persona, i suoi compagni di scuola e li vede in una foto di gruppo e, allora, i suoi familiari lavorano su tali ricordi per rammendare la memoria del malato, spacciandosi per i messaggeri dell’Imperatore: una trovata fenomenale!

Una signorina insiste nel dire d’aver conosciuto di persona madre Teresa di Calcutta; era successo durante un viaggio missionario, a coronamento della sua vita vocazionale. Questo era vero ma poi – che era, che non era – s’era fatta abbindolare da una santone che difendeva l’oppio libero!

Qualcuno chiede a squarciagola una peretta: «Per favore, signore, mi faccia una peretta, solo una peretta, non Le chiedo tanto, in fondo: una peretta, per pietà!». Dice d’avere qualche diavolo che gli s’infiltra negli orifizi, dandogli un tormento indicibile.

In questo grande orto della psichiatria, ognuno coltiva il proprio angolo fantasistico, come vivesse una doppia vita, da sano e da malato. Più di altre malattie, quella psichiatrica ha una storia complessa; uscendo e rientrando dalle stanze della verità specifica, di ciascuno di loro, i malati lasciano come una bava di lumache per trovarvi, al proprio risveglio, un filo logico a cui riappendere la propria storia, nel corso di una giornata infinita come la vita, che sedimenta lentamente, in tutti gli angoli più riposti di quest’ospedale, nella penombra delle finestre, da cui filtra una luce per questa povera umanità, mancante di qualcosa, monca, deficitaria, come senza un braccio o un qualsiasi altro arto, e che, pure, trascorre una vita quotidiana normalizzata, scandita da un grande orologio, cromato, multicolore e proteiforme, che mostra loro tutti i colori della vita.

Ogni ricoverato, pur con la propria fibra o tessuto psichico degenerato o lacerato, in uno spiraglio di liberazione dalla malattia, lascia intravvedere una parte sana. Eppure, se qualcuno ogni tanto esce dal proprio labirinto fisico e mentale, ogni volta tutti si stupiscono; se la parte sana della persona, malgrado sia logora, trovi abbastanza spazio nell’universo della malattia per inglobarla e fagocitare il mostro che hanno in sé, tra il prima e il dopo, quell’«attimo di normalità» è un successo sempre unico.

Dott. Cristiano Tresoldi

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