Due incredibili testi dell’Ottocento sull’indipendenza economica dell’Italia

Nella foto: La Francia? Rivoluzionaria? Massonica, laicista e gran fintona di liberatrice dei Popoli!

Quando avrete finito di leggere questi due testi, penserete e vi domanderete: «Parlano di 150 anni fa? Non è possibile! La situazione di oggi è la stessa, fatte alcune piccole varianti, del tipo che al posto della Francia si mette l’euro. Ma siamo sempre lì».

I° testo: Un ex colonnello garibaldino nel 1868 si interroga sullo spread

« Non fu senza ragione che il debito pubblico italiano ebbe sempre tassato il proprio valore alla Borsa di Parigi. Il Governo francese tenne così meglio in mano l’Italia co’ suoi sensali di Borsa che non già l’Austria co’ suoi agenti di polizia. Il restauro delle finanze italiane non sarà mai compiuto, finché non giunga il Governo italiano a far sì che il valore della rendita pubblica, tassato in Italia, sia di norma anche presso le borse forestiere: è ben cosa strana che la Borsa di Parigi, mentre omai non vi è in Francia che una minima parte della rendita italiana, debba dettare legge nel corso dei nostri valori pubblici. Questo fatto costante tutt’ora dimostra che la indipendenza politica di Italia non è compiuta, e che il Governo francese può anche finanziariamente influire sui nostri destini, come gli garba. Tutti gli sforzi ed i sacrifizi per ristorare le finanze dell’Italia e porla quindi sempre più in istato di farsi rispettare sono lodevoli e ammirabili, ma i più fecondi sono certamente quelli che libereranno i suoi valori pubblici dall’arbitrio del commercio e dagli abusi della politica degli stranieri. » (G. Frygesi, L’Italia nel 1867: storia politica e militare corredata di molti documenti editi ed inediti e di notizie speciali, vol. I; F. Bencini, 1868, p. 475).

II° testo: Circolare del primo ministro Bettino Ricasoli ai prefetti del 10 novembre 1866

« L’Italia non può, non deve mendicare perpetuamente all’Europa le industrie, la cultura, il credito: essa ha obbligo di contribuire ormai alla prosperità universale con tutta la sua operosità, facendo fruttare le copiose forze che in lei mise Provvidenza, e che insino a noi sono state distrutte dalla misere condizioni della patria.

« Il campo di questa necessaria operosità è aperto a tutti: dal padre di famiglia salendo per l’amministratore del Comune e della Provincia fino al ministro, tutti hanno debito di darvi mano, di assecondarsi reciprocamente secondo la loro sfera d’azione… Converrà dunque che ogni partito politico scenda nell’arena parlamentare con un programma di governo e di amministrazione compiuto, e che smesso ogni ossequio alla persona, dimenticati i rancori personali o municipali, si aggruppino i rappresentanti del paese secondo i principi e secondo i sistemi.

« Per tal modo sinceramente esercitate, le funzioni parlamentari faranno prova di tutta la fecondità e di tutta la efficacia pel bene, di cui sono capaci; e i miglioramenti e le riforme prodotti da una schietta ed ampia discussione non seguiranno le forze instabili dei partiti frazionati all’infinito. » (Idem, pp. 529 e ss.) .

Nella foto: Carta intitolata “Italiae veteris specimen”, dell’Ortelio, del 1595

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