MONEGO, Il baiulo in Dante e la polemica linguistica di Vincenzo Monti (1823)

Del dott. Pietro Monego

Presento alcuni studi utili per comprendere meglio il senso delle parole bailo, baliato e linguisticamente annesse, tanto importanti nel caso del Baliato dai Coi e di realtà analoghe, a livello italiano ed europeo.

Il parere di Vincenzo Monti

Nel suo Saggio diviso in quattro parti dei molti e gravi errori in tutte le edizioni del Convito di Dante, [1] Vincenzo Monti ha esposto una sua teoria linguistica, accompagnata purtroppo da inutile polemica, sulla differenza – fondata ma da lui radicalizzata in modo ingiustificato – tra bajuli e baili. Scrive, infatti, il Monti:

« E qui vuolsi far attenzione ad un avviso bellissimo del Trivulzio, che alla luce di questo luogo del Convito mette in pieno chiaro un errore di molto peso trascorso in tutte quante le stampe della Divina Commedia, Par. c. 6, v. 73. Di quel che fe’ col bajulo seguente. Parlasi quivi delle mirabili imprese dell’aquila romana, e di ciò ch’ella fece sotto Augusto successore di Cesare. Or odi sopra quel verso la chiosa del Buti. Dice bajulo , imperocché bajulo si dice da bajulare, cioè da portare, e così si dice e chiamasi bajulo Ottaviano Augusto perché portò la detta insegna. Così quel gramatico: e dietro a lui, simili ad una lunga schiera di ciechi, tutti gl’interpreti; senza por mente che bajulo propriamente vale facchino, ed è portatore anch’esso bensì, ma di quei portatori che portano sull’osso del collo, non già bandiere, ma balle, sacca, bauli, ed altre simili some più da bestia che da uomo. Ond’è che Ottaviano Augusto facchino è una vera facchineria del Buti, e di tutti coloro che l’hanno bonariamente seguìto. E chi dice questo? Dante, lo stesso Dante, che qui nel Convito, parlando dei primi reggitori di Roma, li chiama non bajuli, non facchini, non portatori a forza di schiena, ma baili, cioè educatori, tutori, governatori. E Bailo [Nota originale del Monti: Oppure Balio, come si ha in G. Villani 1, 19, 15. Regni: sotto il governo di Pipino che di tutto era sovrano balio, anni quattro. Vedine altri esempj nel Vocab.] che oggi pure è voce significante grado d’onore, non viene già da Bajulare, Portar sulle spalle, ma da Bailire, ovvero Balire, voce antica che importa Reggere, Governare. E qui è da vedersi il grande pasticcio che fa la Crusca di Bailine e Balire, confondendoli, sulla fede del Buti, con Bajulane. Si emendi dunque una volta quella villana lezione, e dando retta a Dante meglio che al Buti e alla Crusca, dicasi: Di quel che fe’ col baïlo seguente: e chi tuttavia s’ostinasse in contrario, vada a gridar sue ragioni ai bajuli delle piazze e delle dogane. » [2]

«Polemica inutile», dicevamo e lo ripetiamo. Il verso 73 del canto VI del Paradiso dice: «Di quel che fé col baiulo seguente, / Bruto con Cassio ne l’inferno latra».

Il significato di baiulo in quel verso resta un po’ oscuro, questo è vero, ma, in ogni caso, si tratta di un latinismo, che vale  portatore e, più esattamente, portatore di pesi, facchino.

I commentatori antichi non ebbero dubbi che esso fosse usato in senso etimologico, per indicare Ottaviano Augusto come «portatore del segno dell’impero» (cioè l’aquila imperiale). Così l’Anonimo: «Baiulo, tanto è come portatore»; così l’Ottimo: «E chiamalo baiulo, da baiulo, baiulas, che sta per portare: e così sono chiamati in Francia li officiali del re, ed in certi altri luoghi, che sono detti baiuoli o balii, in ciò che portano li pesi del signore».

Poiché però già negli antichi testi appaiono correnti le forme bailo, balio, collegate a bàiulo, nel senso di reggitore, governatore, si è supposto che con questo significato fosse usato da Dante anche bàiulo, nel senso quindi di «l’imperatore seguente» (cfr. Vandelli, Sapegno, ecc.): e l’interpretazione sembra confermata da un luogo del Convivio (IV V 11) in cui i sette re di Roma sono chiamati quasi baiuli e tutori della sua [di Roma] puerizia, evidentemente nel senso di reggitori. Anche nelle Epistole (VI 25) Arrigo VII è definito Romanae rei publicae baiulus. 

Che il commento di Vincenzo Monti risulta anche dall’Enciclopedia Dantesca.

Che dice l’Enciclopedia Dantesca 

G. A. Scartazzini a p. 177 della sua Enciclopedia Dantesca. Dizionario critico e ragionato di quanto concerne la vita e le opere di Dante Alighieri, vol. I, [3] ha, a questo riguardo, due voci:

« [ I ] Bailo, dal lat. baiulus, prov. baile e bailo, franc. ant. bail, Grado d’onore e di dignità, come Governatore, Castellano, e simili, che anche dicevasi Balio. E per Aio, Custode, Balio; Conv. IV, 5, 68, nel qual luogo si hanno le lezioni baili, balj, bajuli. Pare che balj sia la vera lezione.

« [ II ] Baiulus, dal lat. baiulus, Colui che porta, Portatore; Par. VI, 73. “Connumera le cose che il segno dell’aguaglia [= aquila] fece in mano del secondo imperatore, cioè Ottaviano Augusto. E chiamalo baiulo, da baiulo, baiulas, che sta per portare;  e così sono chiamati in Francia gli officiali del re, ed in certi altri luoghi, che sono detti baiuli, o balii, in ciò che portano li pesi del signore;” Ott. – “Baiulo si dice da baiulare, cioè da portare; e così si chiama lo bailo, perché porta lo fanciullo, e così si chiama ora baiulo Ottaviano Augusto, perché portò la detta insegna, e balì e governò lo imperio di Roma;” Buti. – Il Monti (Saggio dei molti e gravi errori trascorsi in tutte le ediz. del Conv. di D., p. 135 e seg.) voleva che si leggesse non baiulo ma bailo. Ma il Betti: “Augusto non fu il bailo, cioè l’aio, di quell’aquila; ma sì il baiulo, il portatore, colui che la condusse a Filippi, a Modena, a Perugia, ad Azio, ecc.” [4] »

Poi, in G. A. Scartazzini, Enciclopedia Dantesca / continuata dal Prof. A. Fiammazzo. Vol. III. Vocabolario-concordanza delle opere latine e italiane di Dante Alighieri / preceduto dalla biografia di G. A. Scartazzini, [5] risulta che Dante usò la parola baiulo una volta sola, nel Paradiso (VI 73) e usò pure una sola volta la parola baiulus, nelle Epistolae (VI 180).

Il commento di Francesco da Bruni

Francesco da Bruno, uno dei primissimi commentatori della «Divina Commedia», [6] soffermandosi sul cantico VI del Paradiso, versi 73-81, cioè quelli in cui compare la parola baiulo, scrive:

« In questi tre ternari lo nostro autore finge che Iustiniano, continuando lo suo parlare, dice, dopo le cose fatte da Iulio Cesare raccordate di sopra, di quelle che furno fatte da Divo Ottaviano Augusto co la insegna dell’aquila, lo quale fu secondo imperadore dopo Cesari, essendo suo nipote figliuolo della sirocchia carnale, le quali raccorda ancora a Dante, dicendo così: Di quel che fe; cioè la insegna dell’aquila, col baiulo seguente; cioè con Divo Ottaviano Augusto, che fu secondo imperadore dopo Cesari, e dice baiulo: imperò che baiulo si dice da baiulare, cioè da portare; e così si chiama lo bailo, [7] perché porta lo fanciullo, e così si chiama ora baiulo Ottaviano Augusto, perché portò la detta insegna, e balì e governò lo imperio di Roma. […] ». [8]

Nella foto: La lapide posta a Buti in memoria di Francesco di Bartolo.

Il parere concorde di Luca Mazzoni

Nel suo studio: Su una recente edizione del “Saggio” di Vincenzo Monti intorno al testo del “Convito” dantesco, infine, Luca Mazzoni, scrive:

«Vincenzo Monti, Monti crede, con Trivulzio, che a  Par. VI 73 («Di quel che fé col bajulo  seguente») occorra leggere bailo, poiché il termine «bailo che oggi pure è voce significante grado d’onore, non viene già da  Bajulare, Portar sulle spalle, ma da  Bailire, ovvero  Balire  Reggere, Governare».  Monti è infastidito dalla bassezza del concetto di cui sarebbe portatore il lemma baiulo  («Ottaviano Augusto  facchino è una vera facchineria del Buti»).

« In realtà, di là dal preciso valore del lemma, su cui ancora si discute [9] bailo  e baiulo sono due varianti dello stesso termine, che non ha quella connotazione spregiativa che Monti credeva di vedervi; la forma baiulo  è in Petrocchi, in tutti i manoscritti dell’antica vulgata e nell’edizione Brambilla Ageno. » [10]

NOTE

[1] Milano, Dalla Società Tipogr. dei Classici italiani, MDCCCXXIII, pp. 135-136.

[2] Il PDF con l’opera citata del Monti si può scaricare al nostro link: MONTI, 1823, Saggio diviso in quattro parti dei molti e gravi errori ecc.

[3] Firenze, Ulrico Hoepli, 1896.

[4] Cfr. Mazzoni-Toselli, Dizion. Gallo-ital. s.v. Baiulo. Diez, Wört. I3, 46 s. v. Bailo.

[5] Milano, Ulrico Hoepli, 1905, all’indice (p. 64).

[6] Questa la scheda relativa, diffusa da Wikipedia al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_di_Bartolo

Non sappiamo esattamente dove è nato, secondo alcune fonti storiche a Pisa, secondo altri a Buti, forse nel 1324. Quello che è certo è che la sua famiglia era originaria di Buti. Fu un uomo politico di primissimo piano della Pisa del ‘300. Nel 1398 venne nominato ambasciatore per la Repubblica di Pisa. Il 15 maggio dello stesso anno, concluse per conto di Pisa la pace con le altre città toscane a Venezia. / Fu anche professore presso l’Università di Pisa e grammatico, cioè esperto e insegnante di latino e, in quanto tale, chiosò le Satirae di Persio, commentò l’Ars poetica di Orazio e il Doctrinale di Alessandro di Villa Dei. Compose anche un Dictamen e una famosa grammatica per lo studio del latino, ovvero le Regulae gramaticales, con un’appendice di Regule rethorice sempre per uso scolastico. Inoltre postillò la Tebaide di Stazio e lavorò su Terenzio. / La sua fama però si deve senza dubbio al lavoro esegetico compiuto sulla Divina Commedia di Dante Alighieri. Per incarico dell’Università, intraprese i commenti della Divina Commedia, che era stata scritta da appena cinquant’anni. Fu uno dei primi commentatori della Divina Commedia, insieme a Benvenuto da Imola, Landino, Pietro di Dante e Jacopo di Dante, insieme ai quali viene spesso citato. Il suo Commento, steso in volgare pisano, è databile tra il 1385 e il 1396, anche se è probabile che vi lavorò, apportandovi modifiche, correzioni e integrazioni, fino alla morte, avvenuta a Pisa il 25 luglio 1406. È sepolto nel chiostro del convento di San Francesco a Pisa. A Francesco di Bartolo è dedicato il Teatro di Buti e la scuola secondaria di primo grado di Buti. Il Commento butiano fornisce una puntuale analisi letterale, allegorica e morale all’intera Commedia. / BIBLIOGRAFIA: 1) Crescentino Giannini (a cura di), Commento di Francesco da Buti sopra la Divina commedia, Fratelli Nistri, Pisa 1858. – 2) Gino Bernardini, Massimo Pratali, Francesco di Bartolo da Buti, Centro studi Natale Caturegli, Pisa 1858.

[7] Bailo; balio E. [Nota all’originale]

[8] Commento di Francesco da Buti sopra la Divina Comedia di Dante Allighieri / pubblicato per cura di Crescentino Giannini. Tomo Terzo; In Pisa, per Fratelli Nistri, 1862, p. 199.

Il tomo III della Divina Commedia, relativo al Paradiso, qui citato, è scaricabile in internet dal link: https://ia801209.us.archive.org/34/items/bub_gb_OCRrYQsDL8EC/bub_gb_OCRrYQsDL8EC.pdf

[9] Cfr. E. Malato,  Baiulo, in: Enciclopedia dantesca, I; Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, p. 495. [Nota all’originale]

[10] Il PDF con il saggio del Mazzoni è scaricabile al nostro link:

MAZZONI, Su una recente edizione del Saggio di VI

A titolo di curiosità, mettiamo a disposizione altri due testi aventi riferimenti al baiulo, bailo.

Il primo è il PDF della p. 54 della «Nuova Enciclopedia Popolare», con le due voci sul baiulo, apribile al link: Nuova Enciclopedia Popolare, v. baiulo

Il secondo è il PDF con una ricerca di Armando Polito sul termine guaglióne, nella quale inaspettatamente vengono fatti dei richiami alla parola bailo et similia; è apribile al link: POLITO, Sul termine guaglióne

Nella foto: Una Divina Commedia stampata a Padova nel 1727.

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