Propaganda unitarista dell’Ottocento italiano

 

Nell’illustrazione: Garibaldi fa suonare la spada.

La Biblioteca Storica del Baliato dai Coi, attualmente inaccessibile al pubblico ma visitabile su richiesta, dispone di un buon numero di testi ottocenteschi, che fanno sentire direttamente come allora la si pensava e, indirettamente, quante menzogne e mistificazioni sono state seminate tra i Popoli della penisola, al fine di giustificare le scelte politiche portate avanti da gruppi ristretti ma influenti.

Abbiamo il piacere di presentare quattro scritti, stampati come fogli a se stanti, con testi poetici (si fa per dire) ovvero orecchiabili, tutti di esaltazione della politica piemontese/savojarda (sarebbe da scrivere Savoja e non Savoia) e dell’eroe di comodo del momento, il massone collaborazionista Giuseppe Garibaldi. I brani s’intitolano: «La partenza dei Soldati per la Crimea. / Canzonetta nuovissima», «Nuovo inno a Giuseppe Garibaldi / 1860», «La vittoria dell’armata», «Fatto barbaro del franco-tiratore bruciato vivo dai Prussiani. E conquista di una Bandiera Tedesca presa dai Garibaldini alla battaglia di Digione».

Del secondo e terzo scritto è indicato l’autore, l’esaltato Raffaele Fiorani. Per comodità nostra, pubblichiamo i primi tre testi mettendo due versi di seguito, distinguendoli con il trattino / .

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La partenza dei Soldati per la Crimea. / Canzonetta nuovissima

Su compagni, allegri! allegri! / Su partiamo per la guerra

Il soldato sulla terra / Vive sol per guerreggiar.

Il pensiero, il nostro amore, / È pensiero, è amor di gloria

Il piacer della vittoria / Niun piacer lo può uguagliar.

Compagni, corriamo / Sul campo di gloria,

Amiam questa Dea, / Andiamo in Crimea.

Chi combatte con valore / Serto avrà di verdi allori:

Sulla strada dell’onore / Dunque intrepidi corriam.

Delle trombe il suono annunzia / Il momento del partire:

Ed ancor lo fa sentire / Dei tamburi il rataplan.

Compagni, corriamo / Sul campo ecc. ecc.

Per andare a Sebastopoli / Noi lasciam le nostre belle!

Non piangete, o buone femmine, / Che alla patria tornerem.

E in allor fra lieti brindisi / Nuovamente ci vedrem,

Ed insieme al suon di musica / Balleremo e canterem.

Compagni, corriamo / Sul campo ecc.

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Nuovo inno a Giuseppe Garibaldi / 1860

Là nel cuor dell’Italia giurando / Garibaldi ci strinse le mani

E correndo dai monti sui piani / Spronò all’armi Province e Città.

Cara Italia, bel suolo lombardo, / Rasserena la fronte onorata:

Como, Brescia e Milano è varcata, / E fra poco a Venezia si andrà.

Nei Paesi, Cittadi e Villaggi / Ogni torre non ha una campana?

Non udite che all’armi ci chiama / Col suo rapido lungo squillar.

Presto all’armi! chi ha un ferro l’affili, / Impugnamo un fucile … una lama;

È la voce di Dio che ci chiama, / È Vittorio! … l’amato Sovran.

Via da noi questo branco d’ingordi; / Sui lor petti vibriamo le spade;

Si riacquisti le nostre contrade / Che lo scaltro ladron ci rapì.

Vendichiamo una volta l’offese, / E ciascun quel ch’è suo si ripigli;

Dell’Italia noi siamo suoi figli / Ed è nostro quel vago giardin.

Se i nemici son mille e più mila / Non ci assalga il più lieve timore,

Ma un sol braccio d’Italico cuore / Più di dieci lor braccia varrà.

Il tedesco? … Egli è un uom come noi! … / Come il nostro è d’acciajo il suo brando

S’anche avesse la spada d’Orlando / Viva Iddio! … lo faremo tremar! …

Finalmente, o nemici d’Italia, / È pur giunta la grande giornata!

L’ora, eterna, tremate; è suonata! / O fuggite o dovete morir.

Il vessillo grifagno è fuggito / Inseguito dai nostri soldati;

Se n’andaron quei cani arrabbiati, / Non ci fece il lor pianto pietà.

Ancor tu proverai le sventure / Come i poveri nostri emigrati,

Che raminghi; avviliti esiliati / Van vagando per cento città:

Mentre il caro lor suolo natale / L’insolente inimico calpesta,

Ma però terminata è la festa / Di lordare il bel suol Italian!

R. Fiorani

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La vittoria dell’armata

Udite, o Fratelli, / La Patria che chiama?

Al campo chi brama / Venezia salvar.

All’armi ci sprona / Vittorio secondo,

Che simile il mondo / Regnante non ha.

Non abbi timore, / Venezia diletta,

che Peppo [=Giuseppe Garibaldi] in gran fretta / Ti viene a salvar.

Ma prima cerchiamo / Nardoni e Antonelli

Che per i cappelli / Vogliamo pigliar.

Nel suolo Lombardo, / Piemonte e Romagna

La bestia grifagna / Mai più tornerà.

Mercé Garibaldi / E Vittorio secondo,

Che parte del mondo / Han fatto tremar.

Il sangue spargendo / Perugia oltraggiata

Gridava vendetta, / E fu vendicata.

Da Fanti e Cialdini, / Soldati d’onore,

Che hanno nel core / La fede e il valor.

Annunzia il cannone / Con grande fragore

Ingresso improvviso / D’Italia il Signore.

Fra grida di gioia / Il nostro buon Re

Nel Forte d’Ancona / Entrò il giorno tre.

Non manca che Roma / Là dove v’è Pio,

Che presto andremo / A trovarlo perbio.

E tutta l’Italia / Al nostro buon Re

Con cuore sincero / Gli giura la fè.

Raffaele Fiorani

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Fatto barbaro del franco-tiratore bruciato vivo dai Prussiani. E conquista di una Bandiera Tedesca presa dai Garibaldini alla battaglia di Digione. 

1.

Mentre tra Francia e Prussia atroce guerra

Insanguinava i campi disumani,

Mentre che Italia, Austria ed Inghilterra

I soldati di lor tenean lontani,

Mentre l’una potenza l’altra atterra

E che Europa lavavasi le mani;

Fatto crudele e orrendo succedeva

Che inorridire il cuore a ognun faceva.

2.

La cosa avvenne là presso Digione

Ove l’invitto Garibaldi stava;

Narrarla solo fa gran compassione,

Tanto mostrossi tracotante e ignava

La germanica stirpe, il cui cannone

Sulla Senna furente rimbombava,

E non contenta di aver saccheggiato

Campi e cittadi, un’uomo ha pur bruciato.

3.

E poco mal saria, se quel meschino

Fosse stato un cadavere morto in lotta:

Ma, il peggio egli è, che steso fu supino

Ancor vivente e colla testa rotta

Legato quasi fosse un salamino;

Poscia datoli fuoco, mentre scotta

Tenendolo legato per le mani

Vi ridon sopra i barbari Prussiani.

4.

Era costui un giovine avvocato,

Che guadagnato il grado di uffiziale

Come tant’altri si era là recato

Ad offrire il suo braccio liberale

In favor della Francia; ed era stato

Promosso dall’eroico Generale,

Pel suo coraggio più che sovrumano

Colle spalline d’or da Capitano.

5.

In Italia era nato e aveva vissuto

Fra l’amor di una madre affezionata;

In più battaglie aveva combattuto

E la medaglia si era guadagnata;

La patria propria fu quella di Bruto,

Cioè di Roma adesso liberata

Dal poter sommo del fostoso prete

Il successor di Pietro dalla rete.

6.

Il fatto sta che l’infelice posto

Che fu sul rogo micidiale e osceno,

In pochi istanti venne fatto arrosto

Mentre gl’infami sputano veleno

Che moriva bruciato sul terreno;

Insultando il meschino ad ogni costo,

Pur nonostante la mercé non supplica

Ma muor gridando: Viva la Repubblica!

7.

Intanto i suoi compagni che facevano

Guerra coll’inimico in quel momento,

Invano il Capitano essi scorgevano,

Tanto era fitto quel combattimento,

Essi con loro forse lo credevano:

Ma qual non fu l’orrore e lo spavento

Quando lo videro nudo in terra steso

Colle membra del corpo tutt’acceso!

8.

Ahi! … cruda vita! … Chi può dir la bile

Provata allora dai Garibaldini?

No, che questo non è pugnar civile,

Ma da feroce e barbari assassini!

Chi sarà stato mai quell’uomo vile

Primo a dar fuoco a chi sugli scalini

Di un forte all’improvviso fu gettato,

Per essere senza colpa lì abbracciato?

9.

Appena un tale scempio il buon Giuseppe

Garibaldi conobbe, invelenito

Ordinò rappresaglie e poi non seppe

Dargli corso trovandosi pentito,

Da generoso perdonò, né seppe

Dare sfogo ulterior a chi avvilito

Il nome di soldato avea con questo

Atto di crudeltà empio e funesto.

10.

Messo dunque in disparte ogni dispetto

Che all’improvviso in sen gli era saltato:

Ordinò tosto fosse posta in petto

Di quel martir la croce guadagnata

Con tanto strazio su quel crudo letto,

Di morte sì tremenda e disperata,

Poscia fattolo toglier da quel luoco

Ai quattro venti ne disperse il rogo.

11.

Con gran pompa solenne i suoi più cari

Lo recaron sul campo dell’onore,

Ove giunto uno stuol di volontarj

Pianse di amara ambascia e di dolori,

Alla fin fu sepolto fra gli spari

E coperta la fossa d’ogni fiore …

Poi giurando vendetta in men ch’io dico

Di nuovo si scagliaron sul nemico!

12.

Breve la lotta fu, aspro il cimento

Tanto addosso saltarono ai Prussiani;

Che dispersi restarono al momento,

Benché menate avessero le mani

Con valore coraggio ed ardimento

Respingendo quegli urti sovrumani;

Quella giornata ricoprì di gloria

Garibaldi e la Francia ebbe vittoria.

13.

Così quel prode restò vendicato

Dello strazio sofferto con dolore;

La prima volta allora fu strappato

Un vessillo al nemico con valore;

Questo fatto all’Europa avrà insegnato

Quanto sia coraggioso il nostro cuore:

L’Italia può menarne giusto orgoglio

Or che siede regina in Campidoglio!!!

Bassano presso P. Fontana tip. librajo 1871.

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Nel disegno d’epoca: I confini dello Stato pontificio gli andavano stretti.

Nel disegno d’epoca: Garibaldi a Napoli al palazzo del Forestiero proclama il governo di Vittorio Emanuele II.

Nella foto: Garibaldi in Aspromonte nel 1862.

Il pensiero autentico di colui che il regime di allora proclamò eroe e tanti, con disonestà intellettuale, continuano a proclamare tale.

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Una risposta a “Propaganda unitarista dell’Ottocento italiano”

  1. E’ utile che si conosca l’orientamento retorico del passato soprattutto per evitare tendenze e/o errate propensioni per il futuro.- La cultura esige aggiornamenti e prese di distanza da certe esaltazioni e da taluni entusiasmi non proponibili.

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